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Inside Out

 

Inside Out e le isole della personalità

Questo cartone della Pixar è straordinario per tanti motivi. Personalmente ne prediligo uno su tutti: racconta (e non spiega, a questo ci pensano i noiosi psicologi!) come funziona la mente umana in un modo così semplice e bello che ci sembra quasi di toccare con mano tutti quegli elementi e strutture psichiche spesso studiate con grande difficoltà sui libri!
Nello stesso tempo vorrei iniziare questo post condividendo la sensazione di disagio e fastidio che ho provato nei primi 15 minuti circa del cartone. Il motivo di questo fastidio iniziale dipendeva da due fattori. Primo, ho temuto che la storia ci proponesse un modello di benessere psichico basato esclusivamente sull’idea dell’ottimismo, rappresentato da Gioia (devo dire, inizialmente un po’ antipatica!) che da subito si impone come protagonista, cercando di inibire tutte le altre emozioni, soprattutto l’apatica (e simpatica!) Tristezza. Lo slogan sembrava essere: “bisogna essere ottimisti, felici, fiduciosi e tutto procederà per il meglio!” Quest’idea non è di per sé negativa ma, psicologicamente, errata. La vita e le nostre esperienze sono troppo complesse per ritenere che il benessere risieda solo nel pensiero positivo. Il secondo aspetto che mi aveva infastidito è legato all’idea, sempre iniziale, che il nostro mondo interno fosse molto, molto simile al “mondo interno” di un computer. Il modello psicologico rappresentato si muoveva sulla base concettuale di un’organizzazione schematica, solo cognitiva, dove bastava dosare bene le emozioni e tutte le esperienze sarebbero state gestite al meglio. Veniva fuori una teoria di una mente neutra alla nascita (la famosa “tabula rasa”) che comincia ad accumulare ricordi, possibilmente positivi, con una meccanismo simile al funzionamento di una macchina elettronica, che immagazzina dati e li classifica per argomenti; insomma per un quarto d’ora ho temuto il peggio!

Poi, finalmente, è arrivata la svolta, devo dire inaspettata e straordinaria …

La svolta parte dall’introduzione, tramite lo “spiegone” di Gioia, dei ricordi di base e, collegati a quest’ultimi, delle isole della personalità. Questa complessità che via via viene introdotta nella trama mi ha sorpreso e mi è piaciuta tantissimo e così la visione ha acquistato nuova vitalità e curiosità. Infatti mano mano che ci si addentra nella mente di Riley (la bambina di 11 anni protagonista della storia) troviamo le fantasie infantili, l’amico immaginario Bing Bong, la valle dei ricordi perduti, il treno dei pensieri, l’area del pensiero astratto, la zona creativa, i personaggi onirici inquietanti rappresentati dal clown Jangles, fino alla “fabbrica dei sogni” organizzata come gli studios cinematografici.

Segnalo una curiosità circa la relazione, rappresentata nel cartone, tra cinema e sogno: praticamente nascono a pochi anni di distanza l’uno dall’altro, infatti i fratelli Lumière proiettano “La Sortie de l’usine Lumière” (“L’uscita dalle officine Lumière”, considerato il punto di partenza della storia del cinema) nel 1895, Freud scrive “L’interpretazione dei sogni”, l’opera che apre le porte al mondo onirico, nel 1899.

Ma ritorniamo ad Inside Out! Il tema centrale del cartone possiamo riassumerlo con una domanda: cosa succede nella mente di una bambina di 11 anni e quale ruolo hanno le emozioni nel suo comportamento? Intorno a questo tema ruotano tantissime teorie che, in questo post, non avrò la possibilità di raccontare tutte. Mi vorrei, invece, soffermare su un aspetto di cui ho trovato meno tracce nei commenti in rete o sui giornali e cioè: le isole della personalità collegate ai ricordi di base.

Questi ricordi di base, ricordi importanti, “super importanti” come dice Gioia, alimentano aspetti diversi della personalità di Riley, chiamate appunto: isole della personalità ovvero delle rappresentazioni complesse che hanno la funzione di “pilastri”, di strutture forti che guidano le nostre esperienze presenti e future. Ad esempio, se mi trovo in una situazione nuova, magari in una scuola nuova, con la fatica di ricostruire nuove amicizie in un ambiente differente da quello nel quale ho vissuto in precedenza (quello che succede, praticamente, alla protagonista Riley) posso fare appello a queste isole della personalità per orientarmi in questa nuova situazione (chiaramente il riferimento all’isola della personalità è una semplificazione, però, a mio avviso, risulta molto efficace e veritiero dal punto di vista psicologico).

Nel cartone questo meccanismo “guida”, queste mappe, formate dalle isole della personalità, vanno piano piano in “tilt” e la situazione precipita. Questo accade perché l’esperienza a cui è sottoposta Riley è così eccessiva e forte che le emozioni perdono la loro funzione e si bloccano. Il blocco inizia nel momento in cui vanno in “corto circuito” Gioia e Tristezza che escono dalla cabina di controllo per perdersi nei labirinti della memoria a lungo termine. E così le mappe, le certezze, i pilastri, cominciano a frantumarsi fino a distruggersi del tutto, producendo il blocco totale delle emozioni ed altri aspetti che non svelerò per rispettare chi ancora non avesse visto il cartone…

Riley, inizialmente, non riesce a trovare nemmeno un sostegno efficace nei suoi genitori, molto probabilmente anche loro impegnati a gestire le emozioni suscitate dalle difficoltà del trasloco, dalla perdita delle loro sicurezze e legami con il passato, dagli imprevisti legati al nuovo lavoro del padre e così via.

La nostra mente, soprattutto attraverso le isole della personalità, viene descritta come un teatro, ricco, ricchissimo di personaggi, di rappresentazioni, di luoghi, e queste isole non sono quindi solo dei ricordi fissi, schematici, quasi foto statiche di eventi del passato, ma appunto rappresentazioni, interazioni, ricordi in movimento, ricordi animati, simili a come potrebbero essere le sequenze di un film. Questo aspetto è fondamentale perché ci dice che noi costruiamo la nostra identità grazie alla relazione con gli altri, non siamo degli elaboratori elettronici che nascono e si sviluppano in autonomia, ma esseri relazionali che interiorizzano da subito (fin dal concepimento), sotto forma di ricordi e non solo, relazioni, affetti, emozioni vissute nel rapporto con gli altri significativi, in primo luogo con i nostri genitori. In questo processo il ruolo delle emozioni, tutte, è fondamentale, ci danno il tono, il “colore”, di quelle esperienze, ci aiutano a capire cosa sta succedendo, come trattare una certa esperienza e quale comportamento agire.

Anche la scelta delle isole della personalità non nasce da un’idea generica, ciascuna ha una chiara funzione psicologica.

C’è l’isola dell’hockey, l’isola dell’amicizia, l’isola delle stupidaggini, l’isola dell’onestà e l’isola della famiglia. Le diverse isole hanno anche un rispettivo significato psicologico: l’isola della famiglia ovviamente ha a che fare con la rappresentazione che abbiamo della nostra coppia genitoriale e del loro rapporto con noi. L’isola dell’Hockey ha a che fare con lo sport quindi con il rapporto, anche competitivo, con l’altro, la capacità di reggere le situazioni, la scuola, i compiti e il confronto con gli altri. L’isola dell’onestà ha a che fare con i valori acquisiti fin dalla più tenera età, partendo dal controllo dei nostri impulsi e poi con controlli sempre più complessi: il rispetto dell’altro, l’onestà, fino ad arrivare, magari quando si è più grandi, ai temi morali ed etici. L’isola dell’amicizia, ovviamente, è in relazione al rapporto con gli altri significativi, fuori dalla famiglia, con il gruppo dei pari, ma non solo, in seguito anche con i primi legami amorosi. Infine l’isola delle stupidaggini, la “stupidera”, è la zona dei ricordi divertenti della nostra infanzia, le canzoni stonate, le rincorse, le smorfie, i giochi un po’ scemi prima con mamma e papà e poi, in seguito, con gli amici. Isola che non dovrebbe essere confinata alla sola infanzia, almeno si spera.

Naturalmente in Inside Out ci sono anche molti elementi poco chiari (del resto un cartone non può avere la pretesa di essere un manuale di psicologia), ad esempio, giusto per citarne uno: non si comprende chi controlla le emozioni, qui sembra che facciano tutto da sole, che “noi siamo le nostre emozioni”. Fortunatamente questo non corrisponde al vero grazie alla dotazione umana di una coscienza.
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