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Scuola e pensiero: una risposta psicopedagogica ad un atto di vandalismo

Nel luglio 2014 è stato richiesto un intervento da parte di una scuola secondaria di primo grado della periferia di Roma, in merito a un episodio di vandalismo compiuto da alcuni studenti dell'ultimo anno che si erano introdotti nell’edificio scolastico nel periodo successivo al termine delle lezioni. 
Il fatto che nell’atto vandalico fossero coinvolti ragazzi che avevano frequentato l’ultimo anno, concludendo positivamente il loro percorso in quella scuola, ha reso ancora più impellente il bisogno di dare una logica e un senso a quanto accaduto. Da qui ha avuto origine la richiesta di un intervento del T.S.M.R.E.E. della Asl RmB, con la partecipazione di un’equipe composta dalla Dott.ssa Latini, con la collaborazione del Dott. Nastasia e della Dott.ssa Piombo specializzandi del servizio e membri dell’ equipe psicologica di  Psy+  Onlus.

 

INTRODUZIONE

psy logoNel luglio di quest’anno è stato richiesto un intervento da parte di una scuola secondaria di primo grado della periferia di Roma, in merito a un episodio di vandalismo compiuto da alcuni studenti dell'ultimo anno che si erano introdotti nell’edificio scolastico nel periodo successivo al termine delle lezioni.
La rilevanza di tale episodio e i danni materiali arrecati, hanno reso necessario da parte dell’autorità scolastica una formale denuncia alle Forze dell’Ordine del territorio, seppur in forma anonima. Oltre a ciò, lo Staff Direttivo si è attivato per dare una prima risposta immediata all’azione deviante commessa all’interno della scuola, attraverso una comunicazione informale ai genitori di quei ragazzi che erano al corrente di ciò che era accaduto e che avevano preso parte con modalità differenti all’episodio.
La scuola ha provveduto a convocare studenti e genitori per una reale constatazione del danno commesso e per concordare una modalità riparativa concreta per ripristinare l’uso degli ambienti scolastici danneggiati.
Il fatto che nell’atto vandalico fossero coinvolti ragazzi che avevano frequentato l’ultimo anno, concludendo positivamente il loro percorso in quella scuola, ha reso ancora più impellente il bisogno di dare una logica e un senso a quanto accaduto. Da qui ha avuto origine la richiesta di un intervento del T.S.M.R.E.E. della Asl RmB, con la partecipazione di un’equipe composta dalla Dott.ssa Latini, con la collaborazione del Dott. Nastasia e della Dott.ssa Piombo specializzandi del servizio e membri dell’ equipe psicologica di  Psy+  Onlus.

RIFERIMENTI TEORICI

Il Servizio  che si occupa della tutela e riabilitazione dell’età evolutiva, si è impegnato a rispondere urgentemente alla richiesta della scuola (grazie alla pregressa collaborazione tra le due Istituzioni che ha facilitato la comunicazione) a partire dall’idea che l’intervento psicologico in questi casi ha come primo obiettivo quello della responsabilizzazione: costruire un nesso significativo tra azione e intenzione che consenta alla persona di riappropriarsi del senso del proprio comportamento. Questo obiettivo può essere raggiunto attraverso spazi e luoghi per “pensare” in cui sia possibile mentalizzare la comunicazione implicita nell’agito trasgressivo.
Riprendendo Fonagy, mentalizzare è un processo  mediante il quale una persona interpreta in modo implicito ed esplicito le azioni proprie e quelle altrui, considerandole significative rispetto agli stati mentali intenzionali, ad esempio i desideri personali, i bisogni, i sentimenti e le motivazioni.
Gli adolescenti esprimono generalmente vissuti, emozioni e pensieri, di cui non sono consapevoli, più facilmente attraverso gesti ed azioni, comportamenti che solo successivamente diventano comunicabili verbalmente.  Donare senso ai gesti enigmatici degli adolescenti, sia considerati individualmente che in gruppo è un compito specifico degli adulti che svolgono funzioni educative o organizzano interventi di sostegno alla crescita o di prevenzione del disagio nei confronti degli adolescenti.
L’azione deviante, l’agito estremo, è una comunicazione drammatica segnale di una grave difficoltà di mentalizzazione. Si è pertanto pensato di coinvolgere nell’intervento gli studenti e i loro adulti di riferimento (genitori e rappresentanti dell’Istituzione scolastica), offrendo uno spazio in cui riflettere sull’accaduto e sulle sue conseguenze, dare voce e contenere i sentimenti emersi e favorire una comunicazione tra le parti coinvolte più diretta e costruttiva attraverso un lavoro di mediazione.

METODOLOGIA DELL’ INTERVENTO

Il progetto di intervento inizialmente pensato dall'equipe è stato organizzato in tre momenti distinti .

Una prima fase dedicata alla presentazione dell'equipe e alla riflessione circa le motivazioni e le modalità di intervento.

Una seconda fase in cui genitori e ragazzi sono stati invitati a lavorare separatamente sulle emozioni legate all'accaduto.

Una terza fase, plenaria, in cui un portavoce per gruppo, adeguatamente supportati dall'equipe, ha letto e raccontato quanto emerso precedentemente. Obiettivo principale era consentire una comunicazione chiara e diretta delle rispettive posizioni, nonché facilitare  la comprensione dei significati dell'agito dei ragazzi.

Per evitare il più possibile resistenze e imbarazzi si è scelto di chiedere a ciascuno di scrivere su un foglio, in forma anonima, 5 emozioni legate all'esperienza vissuta, così da riflettere poi in gruppo su quanto emerso.
L'intervento è stato posto in essere in modo flessibile, in base al contesto, alla partecipazione e alla disponibilità riscontrate, in parte i tempi non sono stati rispettati poiché soprattutto il gruppo degli adulti non è stato molto partecipato mentre quello dei ragazzi è stato più numeroso.
Per quanto riguarda il gruppo dei ragazzi, essi sono apparsi disponibili a collaborare, seppur nella diversità individuale di espressione e definizione delle le proprie emozioni, con evidenti difficoltà da parte di alcuni di approfondire la riflessione. Il clima è stato comunque positivo e sereno.
I ragazzi hanno affermato in modo concorde tra loro di non aver premeditato l'atto vandalico, ma anzi di essersi introdotti furtivamente nella scuola con l’intenzione di ripulire i danni di un altro gruppo di coetanei. Temevano di essere incolpati ingiustamente, poiché già precedentemente si erano introdotti nella scuola ed erano stati fotografati da un abitante della zona.
E' emersa la facilità con cui questi e altri ragazzi potevano introdursi nella scuola durante l'orario pomeridiano e come questo fosse da tempo diventato un “rituale”. La scuola rappresentava per loro una casa, un luogo familiare, protetto dagli attacchi di altri ragazzi della zona, dove poter sperimentare appartenenza di gruppo e libertà ma sempre nel rispetto delle regole poiché qualunque trasgressione era seguita da senso di colpa e riparazione. Non è emersa ostilità nei confronti della scuola o dei professori, ma al contrario i ragazzi hanno espresso chiaramente e con enfasi quanto avessero caricato quel luogo di emozioni intense e piacevoli che non era possibile sperimentare in altri posti. Il fatto di introdursi illegalmente nell'edificio, cosa rispetto alla quale i ragazzi sono apparsi consapevoli, consentiva inoltre di provare una certa eccitazione.
Nessuno dei ragazzi è in grado di spiegare o dare un senso al passaggio improvviso dalla riparazione di danni altrui alla distruzione di un luogo oltretutto così importante e positivo, tanto che è emerso un bisogno di essere rassicurati rispetto al non essere considerati “matti”. È emersa in ogni caso la volontà di lasciare un segno prima della fine della scuola, in quanto i ragazzi avevano pensato a qualcosa di eclatante, ma bello.
È stato dopo l'agito che sono emerse le emozioni negative, la consapevolezza di aver sbagliato, ma soprattutto la paura delle conseguenze e il dispiacere di non poter entrare più a scuola. Solo alcuni dei ragazzi hanno superato la paura e hanno confessato ai genitori l'accaduto prima che essi fossero avvisati da altri.
Rispetto alla richiesta di scrivere le 5 emozioni che sentivano legate a questi recenti avvenimenti, quasi tutti i ragazzi hanno risposto molto velocemente, mostrando una buona consapevolezza dei propri sentimenti. Le emozioni emerse sono state scritte sulla lavagna, mostrando ai ragazzi che vi erano molte cose in comune tra loro. Sono emerse prevalentemente emozioni negative  legate soprattutto ai momenti precedenti e successivi all'agito:
  • Rabbia verso i “traditori” (coloro che hanno fatto la spia) e ansia, anche sotto forma di somatizzazioni (insonnia, inappetenza), di essere scoperti;
  • Rabbia per la propria incapacità di autocontrollo e senso di colpa per aver trasgredito ai valori e alle regole trasmesse dai genitori;
  • Senso di colpa per l'atto commesso;
  • Dispiacere per aver causato la perdita di uno spazio cui tenevano molto e per la separazione almeno parziale del gruppo con il passaggio alle scuole superiori;
  • Paura per le possibili conseguenze dell'agito, in particolare rispetto alla possibilità di essere segnalati alle nuove scuole e di restare etichettati in modo negativo. Dietro a esplicita richiesta, i ragazzi hanno distinto la correttezza di una simile conseguenza visti i loro comportamenti e la paura di come essa avrebbe potuto incidere sul loro futuro;
  • Paura di confrontarsi con i genitori;
  • Gioia, felicità e divertimento non legati all'agito, bensì ai precedenti momenti vissuti nella scuola.

Nel lavoro con i genitori, che per i pochi partecipanti è stato più breve e a cui hanno partecipato anche Preside e Vicepreside, le madri hanno espresso emozioni di rabbia, risentimento, sconforto e delusione, ma anche preoccupazione, dolore, sgomento e tristezza. Sono emersi sentimenti di vergogna, senso di colpa, fallimento e dubbio soprattutto rispetto al proprio modo di educare i figli.

Nell'ultima parte della mattinata è stato esposto quanto emerso da parte dei ragazzi e dei genitori.
In particolare è stato messo in luce il ruolo positivo che la scuola ha assunto per i ragazzi e la possibilità che il loro gesto potesse essere connesso al doverla lasciare e più ampiamente all'ambivalenza e al dolore tipici di questa fase di crescita.
L'agito è stato anche riletto come “rituale tribale” in cui i ragazzi si sono fatti trascinare da dinamiche gruppali senza riuscire a frenarsi. Si è dunque sottolineata anche la responsabilità individuale di ciascuno e l'importanza di mantenere il più possibile una capacità di discernimento.
Ciò è stato sottolineato anche rispetto al senso di vergogna dei genitori, che si sono sentiti messi in crisi nel loro ruolo e nelle loro buone intenzioni dalle azioni dei figli, sono apparsi molto a disagio nel rapportarsi con la scuola e con evidente difficoltà a comprendere quanto accaduto. Essi sono stati aiutati a riflettere sull'importanza della responsabilità genitoriale nei confronti del comportamento dei loro figli, e il bisogno che essi hanno in qualche modo comunicato di contenimento e guida nella crescita.

CONCLUSIONI

Il lavoro effettuato con i ragazzi ha permesso di far emergere forti sentimenti di appartenenza al gruppo e a un contesto scolastico vissuto soprattutto al di là dell’orario di lezione. La scuola non è apparsa connotata di emozioni negative quali ostilità o indifferenza, ma - al contrario di come potrebbero far pensare gli agiti di danneggiamento - come un contenitore significativo, familiare e protetto da un mondo esterno non sempre accogliente. In esso questi adolescenti hanno sentito di poter sperimentare allo stesso tempo libertà e capacità di darsi un limite, ma soprattutto esperienze di gruppo rituali connotate da emozioni di gioia e divertimento, il tutto in una dimensione nascosta al mondo adulto. La distruzione di un luogo così amato da parte di ragazzi in procinto di cambiare scuola rimanda all’ambivalenza tipica di questa fase di vita, in cui lo svincolo richiede la rottura degli equilibri precedenti e dunque fa emergere anche la tristezza per quanto si lascia dietro di sé. In tal senso un agito simile può essere letto almeno in parte come espressione del dolore per la perdita di un contesto e di legami particolarmente significativi.
La volontà originaria di lasciare un segno positivo del proprio passaggio in quella scuola espressa dai ragazzi può anche far pensare a un desiderio di rendersi visibili, forse per paura di essere passati inosservati e dimenticati.
L’azione trasgressiva di gruppo come iniziazione, spesso cruenta, appare un  rituale per separarsi definitivamente dall’infanzia e allo stesso tempo per “rinascere grandi” , ha la funzione di creare discontinuità tra infanzia e adolescenza, si può connotare come azione-ponte, ponte che per molti superare è doloroso e spaventoso, l’azione “forte” permette di gettarsi oltre senza curarsi delle conseguenze  quello che conta è l’appartenenza, seppure momentanea al gruppo e l’andare insieme ad affrontare una nuova realtà.
Le azioni devianti richiamano di per sé risposte complesse poiché la loro dimensione comunicativa è molteplice: strumentale ed espressiva, individuale e/o gruppale, da una parte sollecitano dunque una funzione etico-normativa che risponde alla richiesta di contenimento espressa dall’adolescente attraverso l’azione deviante e dall’altra una funzione di carattere supportivo volta promuovere un processo di attribuzione di senso e di acquisizione di competenze da parte dell’adolescente.
Il carattere di emergenza della richiesta d’aiuto, da parte della scuola, e la necessità di porre, attraverso l’intervento, un contenimento ad un momento di forte crisi non ha permesso di approfondire aspetti che in altre circostanze avrebbero avuto un adeguato spazio. Il gesto e il senso dell’agito dei ragazzi, infatti, possono essere pienamente compresi solo nel contesto specifico nel quale si sono verificati, e in particolare nel rapporto di questi ragazzi con l’istituzione scolastica. La scuola sembra, apparentemente, tagliata fuori da ogni coinvolgimento/responsabilità rispetto a quanto accaduto.
La difficoltà esplicitata dai genitori dei ragazzi nel contenere affettivamente i loro figli può essere letta come una difficoltà che, implicitamente, interessa anche la scuola, la quale, essendo incapace di darsi confini sicuri (vedi la permeabilità dell’edificio, che rimanda ad altri tipi di confine), ha ovviamente difficoltà a contenere i suoi studenti e a porre quei limiti che essi - con l’ambivalenza tipica della loro fase evolutiva - da un lato criticano, sfidano, attaccano ma dall’altro, fortemente ricercano. Si può ipotizzare che i ragazzi reagiscano con rabbia non al tentativo dell’istituzione di porre dei limiti, quanto alla sua incapacità di farlo, non riuscendo a porsi in modo autorevole e adulto rispetto ad essi.
In questo senso, la difficoltà esplicitata dai genitori nel porsi in modo contenitivo rispetto ai loro figli sembra interessare anche l’istituzione scolastica, portatrice di una domanda più complessa e ambivalente di quella ufficialmente avanzata.

BIBLIOGRAFIA

Charmet G.P. I nuovi adolescenti. Raffaello Cortina, Milano, 2005.

Fonagy P., Target M., Attaccamento e funzione riflessiva, Raffello Cortina, Milano, 2001.

Maggiolini A., Riva E., Adolescenti trasgressivi. Le azioni devianti e le risposte degli adulti, Franco Angeli, Milano, 2003.

Masiello S., Della Rovere P.. Fierro C., Latini L., Adolescenti devianti: l’intervento psicologico nel contesto penale, in “ Psicobiettivo” n. 2 anno 2008 pag. 87-98.

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