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Autolesionismo tra cultura e patologia

Definire esattamente un fenomeno come l’autolesionismo, che appare in enorme crescita, è molto complesso e presuppone una flessibilità nella categorizzazione che spesso rende poco omogenei i criteri di valutazione. Come in tutti i buoni inquadramenti si parte da una prima divisione grossolana ma efficace: l’autolesionismo culturalmente riconosciuto ed incoraggiato e quello deviante o patologico. 

Strapparsi i capelli o graffiarsi a sangue appaiono manifestazioni autolesionistiche perfettamente accettabili nel contesto di un grave lutto in determinate culture e può far parte di un rituale condiviso (Rossi Monti 2014). Allo stesso modo tatuarsi il corpo, farsi piercing in punti più o meno ortodossi, modificare chirurgicamente i propri tratti somatici, utilizzare pratiche erotiche sadomasochistiche, può essere perfettamente comprensibile e accettato entro determinati limiti. Infliggersi tagli, bruciature, lividi o accoltellarsi in maniera deliberata è considerabile patologico.

Dov’è il discrimine tra normalità e patologia quando si parla di autolesionismo?

Ogni percorso che porta all’autolesionismo può essere studiato ed indagato a fondo e sicuramente presenta dei tratti di unicità. Tuttavia non tutti gli aspetti del fenomeno sono assolutamente personali e irripetibili e questo ci permette di improntare un’organizzazione utilizzando un approccio differenziale che ci consente di evidenziare le discrepanze tra i fenomeni autolesivi condivisi culturalmente e quelli frutto del disagio o della sofferenza psichica (Autolesionismo Deviante).

Oggi il DSM 5 inserisce l’"Autolesività non Suicidaria" nel capitolo relativo alle condizioni che necessitano ulteriori studi e propone come prima diagnosi differenziale il Disturbo Borderline di personalità.

Ma arriviamo alla tipizzazione che è attualmente riconosciuta come la più completa, ovvero quella elaborata da Favazza (1996) nella seconda edizione del suo libro “Bodies under Sieges” (Corpi Sotto Attacco), attualmente ritenuto il testo di riferimento sul fenomeno. Lo psichiatra americano teorizza tre grandi categorie: autolesionismo maggiore, autolesionismo stereotipato e autolesionismo superficiale/moderato.

  • Autolesionismo Maggiore: è quello meno frequente e più grave dal punto di vista dell’incidenza del gesto sul corpo bersaglio. In questa prima categoria rientrano i gesti di mutilazione ed ablazione come l’enucleazione dell’occhio, l’amputazione di un orecchio, la rimozione di un testicolo. Solitamente questi gesti sono poco premeditati ed i pazienti che li compiono non sanno dare spiegazioni plausibili; quando le danno sono sempre denotate da poca aderenza alla realtà. Le spiegazioni riguardano tematiche di tipo religioso o sessuale: la necessità di purificarsi, l’identificazione con Cristo che soffre (Rossi Monti), influenze maligne o il desiderio di essere donna, la paura dell’omosessualità, il tentativo di controllare impulsi sessuali troppo preponderanti. L’autolesionismo Maggiore è associato a quadri psicotici conclamati ma può anche essere scatenato da stati di intossicazione acuta da sostanza.

  • Autolesionismo Stereotipato: comprende una serie di azioni autolesive ripetitive e manieristiche come sbattere e scuotere la testa, graffiarsi la pelle e gli occhi, strapparsi i capelli e mordersi le mani. Queste manifestazioni sono quasi sempre legate a dei quadri di grave incidenza patologica, psichiatrica o neurologica. Ne soffrono i pazienti psicotici in fase acuta, gli schizofrenici, gli autistici ed i soggetti con grave ritardo mentale specialmente nei contesti di cura non inclusivi (pazienti istituzionalizzati). La comprensione e l’interpretazione dei gesti risulta quasi sempre impossibile, è come se questi pazienti reagissero ad un’istanza imperativa interna.

  • Autolesionismo superficiale/moderato: Caratterizzato dalla minore gravità delle condotte, comprende azioni tipiche come: bruciarsi, bucarsi con piercing, pizzicarsi, graffiarsi, strapparsi i capelli, stuzzicarsi vecchie ferite in stato di cicatrizzazione, procurarsi con cautela tagli controllati in varie parti del corpo. Coloro che utilizzano la pratica del taglio sono denominati “cutters” (tagliatori). All’interno di questa categoria è possibile fare un’ulteriore categorizzazione analizzando la specificità delle condotte. Possiamo rilevare condotte compulsive (tricotillomania, mangiare le unghie fino alla carne viva, scorticarsi la pelle), condotte episodiche e condotte ripetitive (le più comuni sono tagliarsi e bruciarsi la pelle). Queste condotte sono presenti in numerosi quadri patologici: disturbi di personalità, disturbo dissociativo, disturbo post-traumatico da stress, disturbi dell’alimentazione. Sono generalmente comportamenti episodici ma possono diventare ripetitivi se si trasformano in una strategia per far fronte a determinati stati emotivi interiori o se rispondono ai bisogni di identificazione con un gruppo o una sub-cultura di appartenenza. L’autolesionismo superficiale/moderato episodico o compulsivo rientra generalmente tra i sintomi di alcune patologie specifiche, quello ripetitivo invece sta portando gli autori a configurarlo come un disturbo a parte. La descrizione di queste tre categorie permette di ascrivere ad ognuna di esse una problematica prevalente.

Mentre per l’autolesionismo maggiore e quello stereotipato si può far riferimento ai quadri psicotici e ad alcune chiare sindromi, nell’autolesionismo superficiale/moderato si fa sicuramente maggior riferimento al Disturbo Borderline di Personalità.

Inversione di Prospettiva

In alcune religioni, atti autolesionistici rappresentano riti di passaggio fondamentali, basti pensare alla circoncisione o alla fustigazione durante le cerimonie tradizionali.

Proviamo quindi a fare un netto cambio di prospettiva, abbracciando un’ottica antropologica: i giovani Dinka del Sudan incidono sulla propria fronte delle corna di toro, in segno di gratitudine al bestiame, fonte di sostentamento principale di questa etnia. I Nuer, decretano il passaggio dall'età puberale a quella adulta con cinque scarificazioni sul petto come a formare la lettera V. I Mursi dell'Etiopia sono noti per le scarificazioni e le pitture bianche sul corpo, nonché per l'incisione labiale femminile, e l'inserimento di un piattino di terracotta tra i due lembi di pelle separati tramite incisione. Queste pratiche che sono ad un’analisi oggettiva, autolesive, rientrano in quello che la cultura d’appartenenza approva o addirittura incoraggia.

Non è necessario indirizzare la nostra curiosità oltre i confini nazionali per avere significativi e particolarissimi esempi di riti centrati su atti autolesivi. Ad oggi è sufficiente visitare Verbicaro, paese di 3.061 abitanti della provincia di Cosenza, situato nel Parco nazionale del Pollino, durante la Settimana Santa di Pasqua per vedere il rito dei “Battenti Rossi” in dialetto i Vattienti, fieri autoflagellanti del Sud Italia.

Quindi come rispondere alla domanda che ci siamo posti all’inizio di questo breve articolo? Una risposta univoca non è possibile ma possiamo affermare che l’analisi del contesto rimane lo strumento clinico più importante.

Contestualizzare è sempre il miglior modo per avvicinarsi ad una conoscenza strutturata, organica ma anche attualizzata.

 

Giuseppe Scurci

 

*Note sull'autore:
Giuseppe Scurci, Psicologo Clinico, socio fondatore e Segretario Generale di Psy+ Onlus. Specializzato in Psicoterapia Psicodinamica presso l’Istituto Europeo di Ricerca in Psicoterapia Psicoanalitica (I.R.E.P.), sotto la guida del Prof. Edmond Gillièron.

 

Autolesionismo, Borderline, Cutting, Cultura, Psicopatologia, Antropologia

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