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L'outdoor education: una risposta alla crisi educativa

“Quando il cielo fa da tetto e gli strumenti didattici sono i campi e la natura…”

La società moderna ha imposto una serie di cambiamenti socioculturali che hanno determinato un progressivo allontanamento dell’uomo dal suo ambiente e reso più difficile il necessario contatto con la natura.

Questo rappresenta un rischio oggettivo per lo sviluppo infantile in una vasta area di competenze, quali lo sviluppo cognitivo, le competenze psicomotorie e la regolazione emotiva; determinando una vera e propria crisi educativa. Quello a cui va incontro l’infanzia moderna è un rischio paradossale: il bambino non corre un rischio tangibile determinato dal contatto diretto con la realtà, piuttosto il pericolo è che non corra nessun rischio, non stimolando le sue abilità. Pertanto, le sue esperienze sono asettiche, virtuali e carenti, venendo meno il contatto con la realtà vera, dove è possibile sperimentare il corpo, il movimento, la sensorialità e la relazione con l’altro. Si sta facendo strada un’educazione antipedagogica in cui i campi di esperienza vengono estremamente limitati, e la relazione autentica con le cose e le persone è particolarmente carente.

L’esperienza stessa del gioco assume una connotazione limitata al gioco virtuale e all’utilizzo di strumenti tecnologici, venendo meno quel gioco concreto, fisico e dinamico come correre su un prato, gironzolare in bicicletta o arrampicarsi su un albero. Nel libro "L’ultimo bambino nei boschidi Richard Louv, pedagogista americano, è stata coniata l’espressione “Disturbo da deficit di natura”, con il quale non si intende una diagnosi con una qualifica scientifica, ma si vuole sottolineare come la carenza del tempo trascorso all’aria aperta si associata ad una serie di difficoltà: breve durata dell’attenzione in rapporto al livello di sviluppo, iperattività ed altri malesseri fisici ed emotivi. Negli ultimi anni si è innalzata in maniera drammatica la percentuale di diagnosi di Disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (ADHD), senza però considerare l’ambiente di sviluppo, ovvero senza domandarsi se il contesto a cui appartengono e crescono i bambini soddisfi a pieno le loro esigenze. Quindi bisognerebbe domandarsi se il disturbo abbia una matrice individuale, o piuttosto non sia l’ambiente artificiale imposto ai bambini a determinare un’evoluzione di questo tipo.

La proposta dell’outdoor education (OE) si propone proprio come risposta a queste criticità dell’infanzia moderna. Con "outdoor education", che letteralmente indica educazione fuori porta, si intende a livello internazionale, un orientamento pedagogico volto a favorire l’interazione diretta con l’ambiente naturale, integrando diverse sfaccettature in funzione delle culture, paesi e organizzazioni.

Nella letteratura psicosociale, il nucleo centrale su cui convergono numerosi autori riguarda:

  • la necessità di favorire uno sviluppo in un contesto naturale, inteso come fonte inesauribile di apprendimento;
  • l’attenzione alla dimensione emotiva, che può trovare una coregolazione e in seguito un’autoregolazione maggiore in un contesto in cui i bambini possono sperimentare esperienze dirette con gli adulti di riferimento.

L’adulto, infatti, deve affiancare il bambino nel suo percorso di crescita e scoperta, evitando però una forma di protezione ossessiva. Chiaramente i bambini non vanno esposti a pericoli, ma si tratta di accettare la dimensione del rischio permettendo ai più piccoli di raggiungere quella che Vygotskij chiamava “zona di sviluppo prossimale”, ossia un’area di sviluppo potenziale in cui il bambino può evolvere oltre le abilità che già padroneggia ed esprimere pienamente le sue potenzialità di persona unica e irripetibile.

Il modello dell’"outdoor education" non si inscrive in un ambito didattico specifico, ma è inteso come un approccio globale il cui presupposto è il recupero del contatto in presa diretta con la natura. In quest’ottica, l’"outdoor education" può divenire un approccio psicopedagogico che orienta i contesti didattici, come la scuola; ma anche la famiglia, intesa come primo nucleo affettivo in cui il bambino fa esperienza con e attraverso l’altro significativo.

Nel campo dell’educazione all’aperto, nello specifico del contesto scolastico, si sono progressivamente diffuse le scuole dell’infanzia nel bosco o asilo nel bosco, che fanno riferimento alla fascia d’età dai 2 ai 6 anni; come anche le Forest School, ossia scuole nel bosco che corrispondono alla scuola primaria. Nell’ultimo decennio, si è affermato in Italia il modello delle fattorie didattiche, inteso come un altro modo di fare «scuola», di imparare, di conoscere e di condividere; favorendo un modello di apprendimento di tipo esperienziale.  

Questi modelli scolastici derivano dai contributi teorici di studiosi e pedagogisti come: Jean-Jacques Rousseau, Maria Montessori, Rudolf Steiner e Paulo Freire; e hanno ispirato i primi avanguardisti nell’applicazione di questo nuovo modo di fare scuola.

Inoltre, a confermare la bontà del metodo educativo "en plein airè intervenuta la ricerca scientifica. Studi scientifici suggeriscono che studiare all’aria aperta migliora effettivamente il rendimento scolastico degli studenti: dopo un ciclo di lezioni fuori dalle aule sono stati registrati un aumento della concentrazione, del coinvolgimento e della rapidità nell’esecuzione dei compiti in un gruppo di studenti della scuola primaria.

Questi elementi suggeriscono la necessità di intervenire a livello ministeriale con un piano didattico che possa finalmente integrare scuola e natura in un modello scolastico innovativo. La scuola di oggi è ipercognitiva, centrata solo sull’apprendimento come ritenzione di informazioni; la scuola in natura e la fattoria rappresentano quindi luoghi privilegiati per cambiare paradigma e promuovere stili di apprendimento attivo, partecipativo e cooperativo.

 

 

Giulia Lauri

 

Riferimenti:

- KS. Zbigniew Formellla, Giorgia Perillo, (2018) “L’outdoor education e le scuole dell’infanzia nel bosco per crescere a contatto con la natura”
- Farnè, F. Agostini, (2014), “Outdoor education. L’educazione si-cura all’aperto.Ed. Junior
- R. Louv (2006), “L’ultimo bambino nei boschi: come riavvicinare i nostri figli alla natura”. Milano: Rizzoli.

 

*Note sull'autrice. Giulia Lauri è Psicologa, Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico e Dottore di Ricerca in Psicologia e Scienze Cognitive. 
Ha lavorato presso il Laboratorio di Psicofisiologia del Sonno del Dipartimento di Psicologia dell'Università La Sapienza di Roma, collaborando alla realizzazione di studi sul sonno sia nella ricerca di base che nella clinica. Svolge attività consulenza psicologico-clinica e psicoterapia a Roma. Si occupa di progettazione, gestione e attuazione della programmazione educativa della Fattoria didattica "Terra del vento". Ha partecipato, in qualità di relatore, a congressi nazionali ed è autrice di articoli e pubblicazioni scientifiche. Con Psy+ Onlus ha collaborato all'interno del progetto di intervento a sostegno delle persone colpite dal sisma del centro Italia ed è inserita nell'area dei servizi di psicologia scolastica.

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