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Odio, equivoci e social network

Un semplice commento ad un post di Facebook, nato da un equivoco, offre la possibilità di riflettere sul fenomeno dell’odio sui social network da un vertice psicologico.

Un’immagine che urla

Una mattina di maggio, a pochi giorni dalla fine del lockdown, mi connetto a Facebook per perpetuare la malsana illusione di comprendere cosa succede nel mondo.

Philip Bromberg è morto; gli italiani hanno sempre più bisogno di psicologi, ma la manovra rilancio del governo non stanzierà un euro per potenziare i servizi psicologici; mascherine lavabili, test sierologici a pagamento ma forse no, suggerimenti sui corretti comportamenti da adottare in fase due. Insomma, a parte il buon Bromberg, niente di nuovo. E invece sì. Scorrendo distrattamente, mi cade l’occhio su un’immagine che urla. C’è del testo, è uno screenshot di uno scambio testuale, è Facebook che cita se stesso. 

Il tragico equivoco

L’immagine mostra un aggiornamento di stato pubblicato da una donna di nome Silvia Romano. Non si tratta della cooperante italiana rapita dai miliziani di Al Shabaab e liberata dopo 18 mesi di prigionia, ma di un caso di omonimia. Attraverso il messaggio "Non sono quella Silvia Romano!!!!!”, Silvia ci tiene a chiarire un fraintendimento che, a giudicare dal numero di interazioni, si è verificato sovente nel periodo della pubblicazione. Un equivoco che, è facile immaginare, deve averla resa il bersaglio di decine di migliaia di odiatori da tastiera, desiderosi di esprimere opinioni omofobe, razziste, intolleranti e soprattutto non richieste, convinti di rivolgersi ad Aisha (questo il nome scelto dalla volontaria di Africa Milele Onlus dopo la sua conversione all’Islam). Stanca di questa tempesta malevola, Silvia Romano scrive per affermare la sua identità.

Le solite argomentazioni

Il commento visualizzato poco sotto non è che uno dei 5386 lasciati da altri utenti, ma l’ho trovato significativo al punto da farmi ignorare il contenuto degli altri 5385. L’odiatore di turno dà a Silvia dell’egoista, colpevole di aver fatto spendere al governo dei soldi che avrebbero potuto essere usati per gli italiani, solo per soddisfare il suo bisogno di realizzazione e per di più aiutando chissà chi in chissà quale sperduto angolo del globo. A chi abbia seguito la cronaca in quel periodo non sembreranno parole né argomentazioni nuove, ma qui secondo me c’è qualcosa di più. Tralasciando gli errori di battitura, oltre al fatto che non siamo poi così numerosi, personalmente trovo che sia l’incipit ad essere esplosivo, quel “Che tu lo sia o no” che cambia tutto. 

Beninteso, Facebook è un’entità troppo complessa per le mie capacità di analisi. Non è infatti del mezzo che voglio parlare, ma del puro e semplice gesto di cui, tuttavia, Facebook costituisce contesto e strumento. E allora, mi chiedo, un atto come questo avrebbe potuto essere compiuto al di fuori di un social network? Immagino dei possibili scenari. 

Comunicazione, contenuti e contenitore

Se, per assurdo, l’odiatore avesse incontrato Aisha per strada, difficilmente avrebbe avuto il coraggio di dirle in faccia quello che pensa. Se lo avesse avuto, avrebbe forse ricevuto una risposta che, a seconda del tono della domanda e della predisposizione di spirito della donna, sarebbe potuta essere un gesto di stizza, uno sguardo compassionevole, una risposta seccata, una risposta adirata, una risposta calma e dettagliata, o chissà quante altre.

Se l’odiatore avesse riportato le sue opinioni a tavola, in famiglia o tra colleghi di lavoro, nelle docce della palestra o in fila alle poste o dove vi pare, il punto è sempre quello: avrebbe ottenuto una risposta. Ci sarebbe stata una comunicazione, non importa con quali contenuti e di che tenore, avrebbe forse aperto un dibattito, ricevuto un’ovazione, forse degli insulti o delle percosse. Nella vita reale non è possibile dire qualcosa a qualcuno senza ottenere una risposta o un silenzio carico di significato, è il primo assioma della comunicazione. La frase dell’odiatore, un contenuto, avrebbe trovato, in un qualsiasi contesto, un contenitore. Bion (1970) indicò nel modello contenitore/contenuto la condizione per lo sviluppo della vita psichica. Il dolore non pensabile del neonato, o del paziente in terapia, viene espulso con forza; se e quando trova un contenitore, madre o terapeuta, viene alfabetizzato, reso digeribile, e restituito sotto forma di materiale idoneo a poter costituire sia un pensiero, sia la capacità stessa di pensare. Quando la relazione tra contenuto e contenitore è di “mutuo beneficio e senza reciproco danno”, avviene, in entrambi, una crescita. Vi è un’espansione sia in ampiezza, sia in profondità, di pensieri e sentimenti derivati dall’esperienza emotiva, un’accresciuta tolleranza a stare nel dubbio, “senza lasciarsi andare a un’agitata ricerca di fatti e ragioni”. L’esperienza può assumere significati emotivi nuovi, e generare apprendimento. 

Un messaggio lanciato nel vuoto

Nel nostro caso, questo non è potuto avvenire. Il messaggio, un contenuto carico di odio, giudizio e ignoranza è stato lanciato nello spazio interplanetario, nel vuoto del social network, un non luogo che si spaccia per contenitore ma che non offre alcun contenimento. D’altra parte, è chiaro che a questa persona non importa se le sue parole saranno lette da Silvia Romano, da Aisha o da chiunque altro. Non gli importa comunicare, inviare un messaggio contenente uno o più significati. Non gli importa esprimere dei concetti che possano essere letti, e magari far nascere delle riflessioni; quello che gli interessa è evacuare, scaricare la bile, defecare gli scarti. Si sarà sentito meglio, sgravato di emozioni e sensazioni indigeribili ma, come se avesse subìto una lavanda gastrica, si è privato del nutrimento, della possibilità di sviluppare un apparato digestivo, di crescere emotivamente.

L’odiatore da tastiera si nutre di una solitudine terribile ma necessaria, ha bisogno di denegare l’esistenza dell’Altro. Il suo odio senza oggetto gli permette di sottrarsi al dolore della crescita. 

 

Raffaele Di Cesare

Bibliografia

Bion W. (1970). Attention and interpretation. New York: Basic Books (trad it. Attenzione interpretazione, Armando, Roma, 2010).

 

*Note sull'autore: Raffaele Di Cesare, Psicologo, Psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico, terapeuta EMDR, socio ordinario PsyPlus Onlus. Per anni si è occupato di psicologia delle migrazioni nei Centri di Accoglienza Straordinaria della provincia di Pescara. Conduttore di gruppi di Training Autogeno con Visualizzazioni Guidate, attualmente si occupa di psicoterapia e consulenze psicologiche come libero professionista a Pescara.

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