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Elogio alla ciclicità

L’arte di saper attraversare

Vivere la ciclicità è un modus vivendi. Tutte e tutti viviamo nella ciclicità, ma non sempre ne assaporiamo l’interezza. In questo breve articolo rifletterò sulle modalità di vivere o non vivere la ciclicità. Introdurrò il perché di questo argomento, per poi osservarlo con le lenti della mitologia, della meditazione e della psicologia.

 Perché elogio alla ciclicità?

La parola ciclo, dal latino cyclus, in greco è sostituita dalla parola giro (kýklos), cerchio, ruota, forma, che chiude, che conferisce senso.   

Un ciclo si definisce tale poiché costituito da un numero finito di fasi, poste in un intervallo tra un inizio e una fine. E’ una legge universale, la legge delle cose e delle non-cose. Eppure, c’è la tendenza a non considerare necessarie tutte le fasi e la conseguente tendenza ad evitarne qualcuna e/o saltare dei passaggi. 

Può trattarsi di gusto personale, c’è chi ama le albe, chi tramonti; può non esserlo più, se si ha difficoltà ad attraversare il processo e se il fluire degli eventi non viene vissuto con serena accettazione. Di seguito ho esposto qualche considerazione sul tema della ciclicità all’interno di diversi contesti.

La ciclicità nella mitologia

Il mito ha la funzione di dare spiegazione e illustrazione, attraverso storie ed immagini, a contenuti inconsci inaccettabili e che esigono, appunto, senso.

Il mito, scrive Semi (2007), assolve ad una funzione di «svelamento mascherato», e un po' come il sogno, utilizza il simbolico per dar voce ad angosce intollerabili e verità circa la nascita e la fine delle cose.

Nella mitologia, il rapimento di Persefone (o Proserpina) è per antonomasia il mito che sancisce l’origine ed il trascorrere delle stagioni, dunque  della ciclicità.

Lo riassumo. Persefone, figlia di Zeus, re degli dei, e di Demetra, dea dei raccolti, venne rapita da Ade, dio degli inferi, poiché la desiderava come sua sposa.  Demetra, pervasa dalla disperazione, rese la terra arsa e malinconica, tanto che Zeus incaricò Ermes di scendere nell’Ade e di riprendere Persefone. Ade consentì a Persefone di tornare nel regno dei vivi a condizione che dopo sei mesi sarebbe tornata da lui, e così a ripetere. Da qui, la primavera e l’estate sono i sei mesi di fecondità nei quali Persefone sale nel regno dei vivi, mentre l’autunno e l’inverno sono i sei mesi di siccità, che vedono la stessa scendere agli inferi.  


Il fascino di questo mito risiede nella ricchezza dei significati, nonché dei personaggi. Oltre che la tematica della ciclicità delle stagioni e l’ampio numero di attori mitici che dipingono la scena, ciò che risulta evidente è  la tematica della vita e della morte, rappresentate rispettivamente da Ade e da Demetra, dove Persefone ne simboleggia l’integrazione, il dialogo, dunque l’ imprescindibilità.

La ciclicità nella meditazione

Ciò che accomuna le diverse pratiche meditative è il prestare attenzione e il vivere pienamente il momento presente. Jon Kabat-Zinn (2010), fondatore del protocollo Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR), sostiene che meditare non vuol dire svuotare la mente o raggiungere la pace dei sensi, ma stare. Si potrebbe descrivere la meditazione come un elogio al sentire, al vivere consapevolmente.

“La consapevolezza non osserva il fiume, è il fiume”

C. L. Candiani, 2018

Nell’arte del meditare non esistono arrivi. Si sosta, semplicemente. Il senso non è dato dal raggiungimento, dal soddisfacimento di un desiderio o bisogno, ma dalla presenza a se stessi in quel momento. Io esisto perché sono qui, perché mi sento, sento la mia presenza nel mondo. E’ un ampliamento della nota locuzione cartesiana “cogito ergo sum” (penso quindi esisto), se non il presupposto. Kabat-Zinn direbbe “sento, quindi esisto”. C’è pensiero se c’è un corpo che percepisce. 

Prendendo in prestito il pensiero di Fuchs (2013) ,possiamo dire che sono le strutture pre-riflessive a permetterci di fare esperienza, non solo, se queste strutture sono alterate, non può che esserci patologia, ma lo vedremo di seguito.

La ciclicità è insita nella meditazione poiché la consapevolezza del qui ed ora è costituita da un flusso incessante di attimi di inizio e di fine. “Come l’andatura dei passi”, scrive Candiani (2018) “… un piede si solleva, l’altro sta appoggiato a terra, c’è una costante danza di pieno e di vuoto, di lasciare e di contattare”. 

La parola magica del meditare è attraverso. Risiede nell’attraversare l'unica via di uscita. Credo sia una grande verità. La ragione per cui si sfugge il presente è l’evitamento di una qualche forma di sofferenza, per paura. L’attraversare, nel senso di sentire la paura, localizzarla in una o più parti del corpo, rilevarne la temperatura, constatarne il ritmo, equivale a darle spazio, senso, a familiarizzarla e, si sa, quando qualcosa si conosce spaventa meno. 

Seguendo la stessa logica, l'evitamento della sofferenza è direttamente proporzionale alla non vita, alla non vita psichica, così come lo sarebbe l’evitamento della gioia. L’evitamento presuppone l’assenza di presenza, di consapevolezza, di sentito, di percepito, quindi di vita.

La ciclicità nella psicopatologia

Nella psicopatologia il tema della ciclicità è strettamente legato al concetto di tempo. La perdita del senso di continuità temporale è alla base della comprensione di alcune delle più gravi patologie.

A fronte della complessità dell’argomento, mi limiterò a qualche riflessione sul tempo vissuto, interiore, relativamente a diverse esperienze psicopatologiche. Mi riferirò a quel tempo vissuto, "che a volte fugge con la velocità del suono quasi non consentendoci alcuna riflessione, e a volte si muove con lentezza esasperante immergendoci in un vortice di pensieri immobili e pietrificati" per dirlo con le parole di Borgna (2018). 

C'è chi tende alla continua ricerca del nuovo, chi si impantana nel tempo di ciò che è stato e che non tornerà. Diverse personalità e patologie si posano su uno o entrambi questi tempi, anche ad alternanza. 

Nella condizione schizofrenica, per esempio, il tempo si frantuma, presente e futuro vengono cancellati, mentre il passato sembra non essere mai esistito. 

Nella depressione o negli stati melanconici, invece, il tempo si spezza, il futuro si dissolve ed il presente è continuamente divorato dal passato. 

Al contrario, nella mania, il tempo brucia, sfugge, si compone in mille frammenti che non hanno né passato, né futuro, poiché calato in un qui ed ora inautentico che, di fatto, non ha storia.

Il lavoro di cura si lega al tempo interiore, nei termini di poter entrare in una relazione umana in cui il tempo vissuto dell’uno si intreccia al tempo vissuto dell’altro. Sarà la relazione a fungere da regolatrice di tempo, all’interno di una cornice che non ne risparmia il fluire. 

Ancora una volta la relazione regna sovrana. Attraverso di essa, l’altro è specchio di noi stessi e allo stesso tempo diverso, tanto diverso da essere l’oggetto/soggetto da cui possiamo esperire la ciclicità e senza cui non potremmo nemmeno vederla.

Melania Di Nardo

Bibliografia

Borgna E. (2018). , Il tempo e la vita, Feltrinelli, Milano, 2018, p.111. 

Candiani C. L. (2018). Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione. Giulio Einaudi, Torino.

Fuchs, T. (2013). Temporality and Psychopathology. Phenomenology and Cognitive Science, 12, pp. 75-104. 

Kabat-Zinn J., (1991). Full Catastrophe Living. New York, Bantam Doubleday Dell Publishing Group. Trad. it. Vivere momento per momento. Milano, TEA, 2010. 

Semi, A.A. (2007). Il narcisismo, p. 25. Il Mulino, Bologna.

Immagine: Salvador Dalì, Danza del tarassaco, 1944.

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**Note sull’autrice: Melania Di Nardo è Psicologa e Psicoterapeuta ad orientamento Psicoanalitico. Dal 2015 è impegnata nell'attività clinica privata come libera professionista nella città di Pescara, rivolgendosi prevalentemente ad adolescenti e adulti. Dal 2018 opera come consulente psicologa nel Centro di Ascolto Psicologico (C.A.S.A.) di Chieti Scalo. Dal 2019 è Socia ordinaria di PsyPlus. 

 

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