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Adolescenti e pandemia: una prospettiva psicodinamica

Dopo più di un anno dallo scoppio della pandemia da Covid-19, ragazze e ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 25 anni portano i segni di un’esperienza che li ha lasciati confusi, impauriti e anche molto arrabbiati. Cosa significa essere adolescenti durante una pandemia mondiale? E quali sfide ha dovuto affrontare l'inconscio dei più giovani?

L’esperienza di segregazione domestica che abbiamo vissuto durante il lockdown è stata talmente eccezionale e sconvolgente che ci vorrà del tempo per integrarla del tutto nella nostra vita e nella nostra memoria. Anche adesso, a un anno di distanza, resta la sensazione di un’esperienza disconnessa, quasi irreale, una parentesi di immobilità in cui si sono condensate sensazioni e emozioni intense e contrastanti.

Lo spazio durante il lockdown

Sappiamo bene quanto l’esperienza del lockdown abbia compresso lo spazio vitale, reso permeabili i confini tra vita pubblica e vita privata, azzerate distanze che, specie in adolescenza, sono un elemento fondamentale su cui modulare la crescita e il movimento verso la propria individuazione.

Che effetto ha prodotto questo restringimento improvviso dello spazio a disposizione?

Siamo portati a immaginare l’adolescenza come una fase della vita di grande espansione, sotto l’impulso di tempeste ormonali che producono una forte spinta all’esplorazione e una frenetica ricerca di nuove esperienze. In parte questo accade. Ma negli adolescenti esiste anche un’altra parte.

Quella terrorizzata dai cambiamenti che si producono nel corpo e dalle intense sensazioni che li accompagnano, vergognosa di mostrarsi al mondo nella propria imperfezione e incompletezza, angosciata dalla prospettiva di distaccarsi dai genitori e dal loro tutto sommato confortevole rispecchiamento. Sono piuttosto spinte contrastanti quelle che abitano dunque la mente inconsapevole dell'adolescente: quella espansiva e protesa verso la scoperta di sé e del mondo esterno, e quella regressiva più orientata al ritiro e al mantenimento dello status quo, che rivolge un nostalgico sguardo all’indietro, al mondo dell’infanzia. Possiamo quindi immaginare l'effetto destabilizzante di un'emergenza ambientale che obbliga a rimanere confinati dentro casa, temendo per la propria salute, ma soprattutto per quella dei propri cari, eliminando le opportunità di socializzazione e aggregazione extra-familiare, se non in modalità a distanza. 

Immaginiamo che i ragazzi e le ragazze siano stati obbligati a convivere, oltre che con i propri familiari, anche con l'ambivalenza del sentirsi frustrati, obbligati ad accumulare rinunce e occasioni perse, ma in parte forse anche rassicurati, legittimati a mettersi al riparo dallo sguardo degli altri, allentando la pressione alla realizzazione e al riconoscimento sociale.

Il tempo durante il lockdown

Anche la percezione del tempo nella mente degli adolescenti ha subito delle forti alterazioni durante i mesi del lockdown. Una sensazione di immobilità, di attesa, molto angosciante per chi è in una fase della vita in cui sente dentro di sé un senso di urgenza, un forte bisogno di percepirsi in movimento, di sentirsi padrone del proprio tempo

C’è bisogno di nutrire l’immaginazione con progetti per il futuro, sentire il tempo come una risorsa a propria disposizione, la sensazione di “avere tutta la vita davanti” con il corollario di numerose possibilità, di infinite scelte possibili. Piano piano ci si confronterà anche con la restrizione delle scelte, con la definizione di sé e della propria strada, ma sarà qualcosa di graduale, progressivo. 

La pandemia invece ha compresso improvvisamente il tempo a disposizione, restringendolo e congelandolo. Da una parte il tempo fermo quindi, con l'angosciante sensazione di stallo, dall'altra un tempo che fugge via, scorre senza lasciare tracce significative, lasciandosi dietro una terribile sensazione di perdita, di fallimento, di occasioni perse. In ogni caso un tempo che si subisce e non si vive, un’esperienza che mina il senso agente di sé. La convivenza obbligata ha obbligato a mettere in stand-by le proprie istanze di crescita. In una chiave di lettura psicodinamica ed evolutiva, forse l'esperienza del confinamento del lockdown ha presentificato, messo in scena nella realtà, conflitti e angosce che abitavano già la mente dei più giovani, lasciandoli attoniti, spaventati: l’ambivalenza rispetto alla crescita, l’angoscia di morte, l’ansia di separazione dalle figure genitoriali, la dolorosa percezione della propria e della loro vulnerabilità, la paura del blocco e dell’immobilità.

Le forme di malessere degli adolescenti

Tanti giovani in quella situazione di stallo sembrano esserci rimasti incastrati. Sono molti i ragazzi e le ragazze che nell'ultimo anno hanno chiesto aiuto o manifestato segnali di malessere. Il "ritorno alla normalità" è stato spesso un ulteriore elemento di delusione: si è continuato a fare scuola con la didattica a distanza, le lezioni di danza su zoom, le uscite di gruppo su party-house.  La scuola è stato un ambiente in cui si sono concentrati stress, paura di non riuscire a recuperare il tempo perso, disorientamento e sovraccarico. 

Nei casi peggiori, questi vissuti si sono accompagnati a un senso di distacco e indifferenza da parte di professori che per qualche ragione probabilmente di natura difensiva, hanno ignorato i risvolti e gli stati d’animo degli studenti e si sono barricati dietro un muro di rigore e imperturbabilità, dando importanza solo ai risultati e al recupero del programma. In alcuni casi i ragazzi e le ragazze si sono dovuti confrontare con equilibri familiari saltati, intolleranze amplificate dalla prossimità, conflitti evitati e negati, che sono venuti al pettine nella convivenza forzata.

La speranza per il futuro ha lasciato il posto a una crescente disillusione e sfiducia verso il mondo degli adulti, verso le proprie possibilità e capacità di farcela.

Le piattaforme digitali e i social hanno permesso di non vivere una condizione di completo e totale isolamento e, anzi, chi ne era sprovvisto ha sperimentato un fortissimo senso di esclusione e di mancanza di opportunità. Tuttavia, anche il trasloco della vita nella dimensione virtuale ha contribuito ad alimentare un senso di alienazione, di disconnessione e che, in alcuni casi, può essere anche stato usato, come strumento autogestito per anestetizzarsi, stordirsi, disconnettersi da quelle sensazioni minacciose e disturbanti. 

Il ritiro rinunciatario di molti adolescenti è spesso connesso a un utilizzo massiccio di videogiochi, siti di intrattenimento online, social network e forum (come unici ambienti di socialità), e possiamo leggerlo come il segnale di una profonda crisi identitaria, una paralisi evolutiva in cui annullare la prospettiva del futuro e del cambiamento. Altre volte il malessere è stato espresso con attacchi al corpo, divenuto oggetto su cui esercitare potere e controllo.

Disturbi nell’alimentazione, gesti di autolesionismo, atti suicidari sono le modalità con cui più di frequente si esprime il senso di disagio e di disistima verso di sé, il senso di inadeguatezza, la rabbia neutralizzata e rivolta verso se stessi, la vergogna per i propri bisogni di dipendenza così in contrasto con l’immagine ideale autonoma e indipendente in cui ci si vorrebbe rispecchiare. Sono queste le forme che prende il disagio degli adolescenti, esistevano da prima, non sono nate con la pandemia ma ne segnalano l’impatto sulla vita dei più giovani.

Gli interventi di sostegno per adolescenti e famiglie

In questo anno “di convivenza con il virus” appena trascorso, ho ricevuto molte richieste di sostegno da parte di adolescenti in crisi e genitori spaventati.

Ragazze e ragazzi disorientati, confusi, assaliti da ansie, senso di vuoto e di disperazione, genitori preoccupati e pieni di interrogativi, schiacciati anche loro dal senso di impotenza e inadeguatezza. Entrambi con un grande bisogno di parlare e essere ascoltati.  Spesso il malessere si è fatto sentire dopo il lockdown, durante l’estate oppure a settembre, con la ripresa delle attività in presenza.  Sono stati fondamentali i servizi di primo ascolto attivati nelle scuole e nei servizi educativi. Hanno consentito di offrire risposte tempestive di ascolto e sostegno, differenziare i turbamenti dalle crisi vere e proprie e orientare verso le forme di intervento più appropriate. In alcuni casi sono bastati dei percorsi anche brevi di supporto emotivo per contenere la sensazione di disagio, inserirla in un quadro generale connesso ai cambiamenti e alle trasformazione legate alla crescita.

Lì dove invece il malessere si è manifestato in forme più severe, gli spazi di ascolto hanno segnalato la necessità di prestare attenzione e dare importanza al disagio che si stava manifestando, spesso valutando il funzionamento e lo stato di salute dell’intero sistema familiare. In molti casi infatti, la pandemia ha reso visibili disagi le cui origini andavano ben oltre l’emergenza sanitaria, radicati nelle storie soggettive e nelle trame relazionali dell’ambiente di crescita. Anche i genitori hanno beneficiato di momenti in cui potersi confrontare con dei professionisti, condividere preoccupazioni e scambiare esperienze, aumentando la possibilità di sintonizzarsi con le fatiche e i turbamenti dei figli. Per concludere, la pandemia ha segnalato il bisogno di garantire spazi di ascolto e di cura per il benessere psicologico della popolazione. I servizi di supporto psicologico dovrebbero essere spazi accessibili a bassa soglia inseriti tra i servizi fondamentali per la prevenzione primaria. Dovrebbero quindi far parte in maniera organica e sistematica dei servizi educativi per l’infanzia e l’adolescenza

Qualche tentativo in questa direzione si sta facendo, ma bisogna continuare a chiedere risposte organiche e integrate per superare la logica emergenziale e adottare una prospettiva di rafforzamento e diffusione dei servizi alla persona.

Ilaria Saponaro

*PsyPlus Onlus è un’organizzazione che si occupa di rendere la psicologia accessibile a tutti. Per informazioni su trattamenti e accesso a percorsi di sostegno, contattare il numero verde 800.91.04.89 o visitare la sezione del Centro di Consulenza Clinica Psicologica del nostro sito. 

**Note sull'autrice: Ilaria Saponaro è Psicologa e Psicoterapeuta a orientamento psicodinamico e sistemico-relazionale. Lavora da anni per la progettazione e realizzazione di interventi psicoeducativi per bambini e adolescenti e interventi di sostegno alla genitorialità. Collabora con il CIES onlus per il Centro Giovani e Scuola d'Arte “MaTeMù” e coordina per l'associazione le attività educative nelle scuole. Svolge attività di facilitazione e formazione in occasione di corsi di formazione, seminari e workshop. Collabora con il centro clinico dell'Istituto di Terapia Relazionale Integrata (I.T.R.I.) specializzato nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare. Svolge attività di psicoterapeuta in privato offrendo consulenze e percorsi terapeutici per l'individuo, la coppia o la famiglia. Dal 2016 è socio ordinario di PsyPlus Onlus con cui collabora nell'area dei servizi di psicologia scolastica e come psicoterapeuta del Centro di Consulenza Clinica.

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